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Ok. L’hai finalmente convinto ad accompagnarti nel ristorante d’alta cucina che ti piace tanto, quello in cui tutte le tue amiche sono già state. Si avvicina guardingo all’entrata e, con fare neanche troppo dimesso, cerca disperatamente il classico “menu” all’esterno, per verificare prezzi e nomenclature dei piatti… ”Caro, non siamo in un’osteria”, gli sussurri tu a denti stretti, elargendo il più smagliante dei tuoi sorrisi al raffinato cameriere che vi sta già scortando, con galanteria e gentilezza, fino al vostro tavolo. “Non sono fantastiche queste tovaglie color ocra?!” bisbigli con sguardo accattivante nella fulgida speranza che anche lui noti l’assenza delle classiche tovaglie bianche e damascate a cui i vostri sabati sera vi hanno tristemente abituato. Peccato che per lui, a naso, l’ocra è probabilmente un simpatico palmipede originario della Nuova Zelanda.

Superato lo shock per la scelta dalla carta dell’acqua minerale, rassegnato all’idea di non conoscere i prezzi di ciò che mangerete (pardon, degusterete) fino al momento cruciale del conto, il vostro lui si concentra finalmente sulla sua ordinazione: tagliatelle al ragù non ce ne sono, di rigatoni all’amatriciana neanche l’ombra, i tonnarelli cacio e pepe un miraggio…la sua mente per un attimo torna alla trattoria in centro, quella che non ti rilascia uno scontrino neanche se sottoscrivi un abbonamento settimanale ma che, santo cielo, la carbonara la fa da Dio.

“Petali di spigola in crosta di pistacchi di Bronte, con spuma di verdurine croccanti e anelletti di soia”. Nome che sta tutto in una riga, ingredienti tutto sommato familiari, apparentemente salutare: ottimo, andata. Per due, perché gli strani nomi e accostamenti hanno disorientato un po’ anche te. Dopo l’ordinazione si rilassa: probabilmente non ha fatto in tempo a riflettere sulla effettiva capacità delle verdurine croccanti di tramutarsi in spuma e quella della soia di subire la metamorfosi fusion in anelletti. Ma non curartene. D’ora in poi sarà tutto in discesa, ti rassicuri.


Ora siete lì, in attesa del vostro primo piatto di alta cucina della vostra vita: ma proprio quando comincia ad insinuarti dentro di te, in sordina, il dubbio che tutto sommato, una porzione abbondante di pasta fatta in casa, la gradiresti anche tu, la sorpresa. Il piatto arriva ed è un trionfo di goduria per gli occhi: colori, linee e consistenze diverse si intrecciano mirabilmente in un quadro astratto che anziché riportarti alle rigide geometrie dell’arte razionalista, ti ricorda l’assoluta leggerezza del primo acquerello astratto di Kandinskj. Un tripudio, una festa, un apparente disordine cromatico che da solo vi incuriosisce e vi fa salire l’acquolina in bocca. Seconda sorpresa: la pietanza profuma! Un odore intenso e delizioso di timo e maggiorana; hai sempre amato le spezie, hai letto che fanno bene e che non ingrassano e da domani lo convincerai a piantare due grandi vasi rettangolari sul terrazzo in modo che quando sarai in cucina, protrai bucolicamente chiedergli portarti un rametto di salvia per impreziosire la cena. Non sapendo bene come si approccia ad un piatto del genere, tanto vale assaggiare come capita: e lì, capitolerete entrambi. E’ buono. Saporito. Speziato al punto giusto. Morbido con sprazzi di croccantezza inaspettati. La spuma sa di spuma e poco importa se gli anelletti non ti ricordano degli anelli ma piuttosto delle piccole e graziose spirali…è buono! Non solo bello a vedersi, ma anche delizioso per il palato.
Tutto proseguirà per il meglio, passando per contorno, dolce e buon vino… fino al momento del conto. Ma questa è un’altra storia.


Quel che è certo, è che non vi aspettavate una cucina “disordinata” nell’aspetto ma “organizzata” sapientemente nel gusto. Segno dei tempi che cambiano; gli Chef di oggi, anche i più premiati e stellati, stanno via via abbandonando la rigida impostazione visiva della nouvelle cousine, per andare in contro ad un’arte di presentazione del piatto più movimentata, viva, che trasmette già da sé, l’animosità e la vitalità del cibo. Perché il cibo è vita: parla della terra da cui proviene, ne racconta la storia e la lavorazione, riporta alla mente sensazioni e paesaggi. Ed è per questo che l’asettico perfezionismo sta lasciando spazio ad una vera e propria rivoluzione nella presentazione delle portate, sempre più libere e sbilanciate, nelle forme come nei colori.
Fino a creare un’esperienza visiva e percettiva particolare, che si vive solo quando ci si appresta a mangiare una pietanza presentata in modo creativo.
Qualche esempio? I Calamari alla Catalana di Montse Estruch, un irresistibile manciata di fiori ed erbette che sembrano accogliere, quasi per caso, il calamaro ripieno diviso in due e la purea a loro fianco.



E che dire delle Caramelle di Quaglia laccate con miele millefiori? Si direbbe il disegno di un bambino con quei cavolfiori a fare da nuvolette e le nocciole colate dal miele. La Estruch, nota Chef stellata di origini catalane, elabora oggi una cucina tradizionale, basata sui prodotti di stagione ma anche sul concetto di “sensazione”: una cucina intesa come un “tutto” in cui, “non solo il piatto ma anche l’ambiente, gli odori, i colori, le decorazioni giocano un ruolo importante nella costruzione del piacere del mangiare”. Un segno distintivo della sua cucina è proprio l’utilizzo dei fiori, una sintesi perfetta tra colore, fragranza ed eleganza, simbolo di femminilità ed eleganza.



E ancora, la strabiliante Arancia Sanguigna di Markus Arnold 17 punti GaultMillau e 1 stella Michelin, presentata assieme ad altri spettacolari piatti durante la kermesse enogastronomica S. Pellegrino Sapori Ticino 2012.



Da fuori sembra una semplice arancia ma, proprio come se si trattasse di un’opera d’arte cinetica, sta allo spettatore-ospite interagire con il piatto, rompendo l’involucro, in verità di cioccolato e zucchero,per rimanere poi senza parole di fronte all’insospettabile ripieno: una crema seducente e ben dosata, con pezzi di arancia rossa a contrasto la dolcezza del pan di spagna.



Posate alla mano insomma, oggi è tempo anche di godere di un piacevole spettacolo di colori e sapori.
E per finire, il sushi tutto italiano di Christian e Manuel Costardi, due giovani cuochi vercellesi che con talento, passione e costanza si sono imposti in una provincia del Bel Paese dove la cucina d’autore prolifera con qualche difficoltà. Hanno chiamato il loro piatto “La nostra idea di pesce crudo”:



Nessun accenno agli ingredienti, un titolo secco ed efficace per il loro funambolico sushi a base di gamberi rossi, scampi, capesante, filetti di branzino, cipollotti, zucchine, carote, asparagi, sedani, cipolle, broccoli, scorza di agrumi, nero di seppia, pistacchi di Bronte sbriciolati, polvere di liquirizia, polvere di olive nere taggiasche, clorofilla di prezzemolo, olio extravergine di oliva, pepe di Sarawak, sale di Cervia e di Maidon. Schizzi, colate, getti di colore intrecciati in un vortice di linee sovrapposte: siamo in cucina o nello studio di Jackson Pollock? Nei quadri dell’artista americano c’era tutta la materia densa del colore incrostata insieme a pezzetti di carta, capelli, piccoli cocci di vetro, tutto ciò che cadeva sulla tela nella furia del gesto. Pollock lavorava stendendo la tela a terra e girandoci attorno, il vaso in una mano, un pennello secco o un pezzo di legno nell’altra. Non fronteggiava il quadro ma ci entrava dentro. E’ stata chiamata action painting perché questo tipo di pittura fissava il movimento, l’azione stessa dell’artista. Non raffigurava nulla, ma coglieva l’impossibile e ancora oggi cristallizza in effigie l’evento, il breve e articolato processo del suo accadere. I suoi quadri apparentemente confusi, non erano dipinti erano il dipingere, l’arte stessa nel suo prodursi. Oggi come allora, lo Chef si fa concretamente sentire nello spazio dell’opera…ops, del piatto, e dà vita ad una cucina sempre più performativa, libera e fuori dagli schemi prestabiliti degli accostamenti bon ton o delle presentazioni bilanciate. Si tratta di happening culinari e di cuochi in azione, come nel caso di questo irresistibile piatto di sushi: e qui davvero possiamo parlare di “Con-fusion”.

- Valentina Di Domenico -

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